EPIFANI: "SERVE UNA NUOVA POLITICA DEI REDDITI"
Due stipendi in meno, come se l’anno finisse in ottobre (e non in dicembre). Sono 2.600 euro in tutto: è la cifra che una famiglia di operai ha perso negli ultimi cinque anni. Nel medesimo periodo, ossia tra il 2002 e il 2007, la perdita del potere d’acquisto del salario di un lavoratore dipendente è equivalsa a 1.210 euro; se a questa aggiungiamo l’ulteriore calo causato dalla mancata restituzione del fiscal drag, gli euro in meno diventano 1.900. Intanto la forbice si allarga: imprenditori e professionisti hanno visto i loro onorari crescere di 12.000 euro nel quinquennio, lo stipendio dei dirigenti è cresciuto di sei punti rispetto a quello dei dipendenti.
A fare in conti è l’Ires (l’Istituto di ricerche della Cgil) nel rapporto “Salari in difficoltà”, presentato oggi a Roma. “L’origine del problema – spiega il presidente dell’Ires Agostino Megale – risale al 2002-2003, quando l’allora governo di centrodestra definiva l’inflazione programmata all’uno e mezzo per cento, mentre quella reale era quasi al 3. In quel periodo si è generata una perdita di quasi 1.000 euro che si è trascinata fino a oggi”. A questa cifra bisogna poi sommare le perdite causate dai ritardi nei rinnovi contrattuali (con 8 milioni di persone oggi coinvolte) e la mancata restituzione del fiscal drag, problema più volte sottolineato dalla Cgil. Il procedimento è semplice: aumenta il costo della vita, gli stipendi (anche se non del tutto) si adeguano e con essi le tasse. Ma, poiché in termini reali il reddito rimane invariato, il risultato è che a crescere è solo il prelievo fiscale. Si aggiunga, infine, l’inadeguata retribuzione della produttività attraverso la contrattazione di secondo livello, e si arriva così alla cifra denunciata dall’Ires: i salari italiani (in media) hanno perso 1.900 euro negli ultimi cinque danni.
Quanto agli stipendi, ricorda l’Ires, oltre 14 milioni di lavoratori vivono con meno di 1.300 euro al mese, mentre circa 7,3 milioni di persone ne guadagnano meno di 1.000. In busta paga, gli italiani leggono in media 1.171 alla voce “euro netti”. Con le solite disparità. Perché il guadagno medio per certe categorie è sempre inferiore alla media: nel Sud gli euro sono 919, per le donne 961, nella piccola impresa 866, per gli immigrati 856. La “quarta settimana” diventa un serio problema anche per i più giovani (guadagno medio 854 euro); gli apprendisti, che possono contare solo su 737 euro; i collaboratori occasionali (769 euro) e i co.co.pro. (899 euro). A vivere con meno di mille euro al mese sono anche il 60 per cento degli operai non specializzati e il 40 per cento degli impiegati generici. Da un confronto internazionale, la scarsa dinamicità delle retribuzioni italiane risulta ancora più evidente: il divario si è allargato di 6-7 punti percentuali rispetto a Germania, Francia e Gran Bretagna.
“Serve una nuova politica dei redditi che affronti il problema della crescita bassa, dei salari bassi e della produttività bassa. Sta di fronte al paese il dato che si sono ridotte tutte e tre”, ha commentato il leader della Cgil Guglielmo Epifani: “È auspicabile che il governo da gennaio, visto che si parla di riforme, sia elettorali sia istituzionali, apra un tavolo su questo tema”. Riguardo la questione specifica della produttività, Epifani ha sottolineato come le analisi sui dati fatte dalla Cgil dimostrino che “se è aumentata la produttività per le aziende medie (50-250 dipendenti), quelle più piccole e quelle più grandi hanno avuto maggiore difficoltà, e questo perché non si è investito in ricerca e sviluppo”. Ha poi concluso: “Nel 1993 chiedemmo a tutti di investire il 3 per cento del Pil in ricerca e sviluppo. Quell’obiettivo è stato disatteso, anzi si è arretrato, tant’è che oggi investiamo solo 19 miliardi a fronte dei 40 della Germania e dei 300 degli Stati Uniti. Per non parlare dei paesi asiatici che stanno poco sotto gli americani. È una questione centrale, su cui occorre una strategia unitaria”.
Fonte: www.rassegna.it
Nessun commento:
Posta un commento