Riportiamo di seguito un articolo comparso su "Il Manifesto" del 26 Giugno.
Titti Di Salvo *
Venerdi 22 è iniziato alla Camera il percorso parlamentare di una legge, prima firma Marisa Nicchi, che in modo semplice riuscirà a neutralizzare una pratica diffusa e indegna di un paese civile: quella di chiedere alle persone come condizione per l'assunzione una lettera di dimissioni, debitamente firmata e senza data. Questa verrà messa dopo, di fronte all'inizio di una gravidanza, o una lunga malattia o un infortunio, per troncare un rapporto di lavoro diventato per quelle ragioni un costo di cui alleggerirsi. Come è evidente stiamo parlando di un abuso di potere, intollerabile, diffuso, del presente e non del passato, anzi in ripresa anche se difficile da censire per ovvie ragioni, compiuto ai danni di donne e uomini nel momento in cui sono più deboli.
Mettendo insieme i dati degli uffici vertenze della Cgil, uno studio delle Acli e una ricerca Isfol sul rapporto tra maternità e mercato del lavoro, nonostante la difficoltà di distinguere dimissioni finte da quelle vere, emerge un quadro impressionante: almeno un quarto delle dimissioni sono estorte. La maternità è la motivazione preferita per il licenziamento mascherato; le imprese piccole e medie sono il teatro principale, non solo al centro e al sud d'Italia, con un danno nei confronti delle persone ma anche delle altre imprese più rispettose delle leggi e della dignità delle persone.
L'uovo di Colombo che la legge prevede è quello di vincolare la lettera di dimissioni, pena nullità, all'utilizzo di un modulo numerato, che è possibile utilizzare soltanto per i 15 giorni successivi al momento del suo rilascio dagli uffici pubblici. Altre normative precedenti - il T.U. per il sostegno della maternità e della paternità del 2001 e il Codice delle pari opportunità del 2006 - avevano provato ad arginare il fenomeno, limitandosi però ad intervenire per le persone con un contratto di lavoro subordinato e ex-post, rendendo nulle le finte dimissioni dopo indagini di verifica nel caso di sospette dimissioni date durante la gravidanza, fino ad un anno di vita dei bambini o entro il primo anno di matrimonio. La legge di cui stiamo parlando, al contrario, impedisce che l'abuso si compia, per qualunque ragione e qualunque sia il rapporto di lavoro instaurato. Fin qua la descrizione dei fatti, del contesto e del senso della proposta, che merita però anche alcune considerazioni generali.
Lo spirito che anima il disegno di legge è quello della tradizione migliore del diritto del lavoro italiano - smarrito nella legge Biagi - teso a riequilibrare poteri non eguali tra datore di lavoro e lavoratori con la definizione di diritti indisponibili, leggi e contratti. D'altra parte la lotta alla precarietà del lavoro è fatta di atti concreti e norme per superarla e poi di una nuova cultura politica che sia capace di scegliere la dignità del lavoro ed il suo valore come terreno di elaborazione e condizione per lo sviluppo, qui e ora.
In secondo luogo, l'indagine in corso alla Commissione lavoro della Camera sulla dimensione della precarietà in Italia conferma che la precarietà ha un volto femminile così come la povertà: anche in questo caso la proposta di legge affronta la realtà del nuovo attacco alla maternità aperto concretamente nel paese, altro che Family day e dà una risposta, dalla parte delle donne e della dignità del lavoro delle donne e degli uomini.
Infine Sinistra democratica, appena si è costituita come gruppo parlamentare, ed in virtù delle prerogative regolamentari connesse, ha chiesto che il disegno di legge iniziasse il suo iter parlamentare. Non l'abbiamo fatto per rivendicarne la maternità, di cui in ogni caso siamo orgogliosi, ma per tenere fede all'impegno che abbiamo assunto e che è parte del nostro profilo costitutivo: contribuire a colmare il vuoto di rappresentanza politica del lavoro, ma anche quello della rappresentanza politica delle donne, per cambiare l'Italia.
*capogruppo Sinistra Democratica
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